di Simona Negrini.
“Esser fedeli alla natura, a tutta!”
E poi? Quando è copiata la natura?
Infinito è del mondo ogni frammento.
Infine ei ne dipinge quel che gli piace.
E che gli piace? Quel che dipinge!
(Nietzsche)
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Può essere singolare che tocchi a me, emiliana d’origine memore della scuola di Francesco Arcangeli, disquisire sull’elemento propulsore d’ispirazione artistica del pittore Mario Liga, i cui risultati sino ad ora raggiunti in pittura non sono né pochi, né di vacuo interesse.
Scrivo ancora, come un anno fa, del pittore Bagherese, oggi più che mai con l’ansia di non dire o di non essere troppo dentro a questo lavoro, a questo vivere che conosco appena, ma che credo essere fervido e intenso.
Posso solo immaginare la terra nella quale egli vive, gli ulivi cerei dai riflessi argentati, i limoni e i gelsomini dalle intense fragranze, poi i palazzi baronali crogiolati dal sole, le mura delle case l’une alle altre sorrette, e infine le strade sprofondate nei vigneti, poi più in là nel mare.
Bagheria è amore e dolore.
Bagheria è la “terra” nella quale Mario Liga ha racchiuso i suoi sogni d’artista, le fugaci ed effimere illusioni; è questa la terra, che da sempre, lo ha ispirato.
Violata, infranta, per sua stessa mano, essa viene “rivisitata” e “vissuta” con cotanta dedizione e ammirazione da essere stata, eri come oggi, l’oggetto (e il soggetto) delle sue opere.
Osservo le sue ultime tele e, come in passato, m’imbatto in una serie di opere che definirei prima di tutto “documentative”, capaci ancora di testimoniare e “denunciare” gli scempi e gli oltraggi della storia, e degli uomini che la vissero. Ma qualcosa, da quel tempo che fu, è cambiato.
Disinteressato all’apparenza veristica, l’artista ricerca nella natura un sussulto segreto ed organico, quel principio d’un nascere, crescere, declinare e morire che la rende inafferrabile.
La campagna è il “paesaggio” in cui si cala empaticamente il pittore bagherese.
Il paesaggio che vediamo è quello della memoria, un territorio rurale e contadino dominato dalla natura, dove l’uomo (presente solitamente come forza lavoro) è presenza minima e ridotta.
In quanto esploratore e conoscitore della sua terra e delle sue genti, Mario Liga indaga, con sentita partecipazione, questo spazio domestico e lo fa servendosi di un linguaggio artistico moderno e genuino.
Larghe e ampie spatolate di colore sono racchiuse, quasi ingabbiate, in uno spazio diafano solcato da segni netti e marcati. Segni “automatici” che hanno una direzione, che mai nascono dalla casualità o dal libero arbitrio, perché gesti ispirati sì dall’anima, ma controllati e gestiti sempre dalla ragione.
Le opere di oggi non sono altro che il riflesso di quelle passate, dominate prevalentemente da una gestualità accattivante ed incisiva e dotate di un repertorio iconografico d’ampio respiro.
Oltre alle vedute (prevalentemente a volo d’uccello) delle terre bagheresi e degli attigui contadi, colte e raffinate sono le “citazioni” dal mondo antico. Travolti da una suggestiva atmosfera onirica busti acefali e mascheroni della tragedia greca si rivelavano nel loro funereo pallore.
Ma ora a fare da sfondo, a queste pietre scolpite, non vi sono più veristiche frasche verdeggianti, cupole e porticati o vacanti ed irreali città metafisiche. Non più cavalli rampanti, uomini dai corpi serpentiformi e sogghignanti maschere apotropaiche.
Il mondo, così come lo vediamo, si sfalda, si sgretola al tocco del pennello, e mentre la tela a sua volta, in un lento divenire, viene graffiata, lacerata, legata, la purezza atavica delle terre e le funeree ceneri fanno bella mostra di sé.
Mentre linee improvvise solcano la tela e pennellate brevi e frammentate definiscono lo spazio, i colori dominano materia e forma.
Come ho più volte affermato nelle tele di Mario Liga, espressionismo ed impressionismo astratto coesistono, egli rappresenta difatti ciò che vede (impressionismo astratto), ma anche ciò che vuol fare vedere (espressionismo astratto).
Le opere realizzate nel nuovo secolo mostrano come sia l’espressione pura a determinare fino in fondo la forma e il colore.
Esse rivelato il profondo ed indissolubile legame tra storia, folclore e mito.
Se in passato il pittore bagherese si è lasciato sedurre da un totalizzante “macrocosmo”, ora invece, per necessità interiore, sembra al contrario essere affascinato dal “microcosmo”.
Il soggetto è sempre lo stesso ma cambia il punto di vista e la predisposizione affettiva.
L’innato bisogno di conoscenza lo spinge a confrontarsi con l’infinitamente piccolo.
Il mondo non è più visto nella sua interezza e globalità, poiché percepito come frammento, particella elementare, atomo.
La natura rimane la stessa, ma quasi nulla rimane di essa, di ciò che appare.
Essa è sopraffatta dal fervore dell’artista, è tratta dalla sua immobilità e restituita ad una condizione incandescente.
Tutto ciò che vediamo si dilegua.
E allora che cosa c’è dietro il fenomeno naturale? Forse niente, o forse tutto.
E la tela? Essa non vacilla, è vera, densa, piena, riempie le mani, vive per la sola forza della pittura. L’espressione di questa profondità è espressa attraverso il colore.
Dappertutto si espande.
Colori sfumati, graffiati, talvolta solidi e densi come roccia, diventano oggetti, pietre, alberi, assumono un volume, un peso.
Fu nella pittura di carretto che l’artista sperimentò le prime arditezze cromatiche, ma solo oggi, attraverso un’arte materica e spaziale, egli decanta il colore cogliendone tutta la profondità.
Come dunque la natura manifesta la sua verità attraverso le forme colorate, allo stesso modo, attraverso le forme colorate, il quadro deve manifestare la sostanza poetica che lo nutre .
Senza seguire nessuna regola, nessun dogma o falsi e obsoleti canoni di bellezza Mario Liga seleziona dettagli, coglie l’essenza della natura e i moti più intimi e profondi.
Il mondo c’è già, e allora che senso avrebbe farne una replica?
Nasce pertanto un nuovo ed evocativo spazio pittorico nel quale gli oggetti possono aprirsi, distendersi, frantumarsi e attorcigliarsi, sconvolgendo così tutte le regole dell’imitazione.
Attraverso una vera e propria operazione demiurgica si apre la strada ad una ricreazione del mondo.
L’artista tende pertanto a vedere più quello che dipinge che dipingere quello che vede.
Proprio per questo la pittura di Mario Liga desta stupore e ammirazione.
Egli è in grado di far parlare il mondo attraverso forme e colori; e ancora oggi, con fervore e determinazione sa rendere omaggio alla sua terra.
A Renato Guttuso l’ultima lode: “I bagheresi, e noi tutti, dobbiamo essere grati a te che con la forza e la grazia del tuo sentimento di pittore, celebri la nostra bella terra”.
Simona Negrini
(Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano, 1994.)
